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Le ragioni di un appello
Vincenzo Terreni
Presidente Anisn
L’idea di promuovere una raccolta
di firme non tanto contro la riforma della scuola del Ministro Moratti, ma
contro le conseguenze di un disegno apparso subito pericoloso nel progetto generale e pieno di insidie anche negli aspetti di
dettaglio, è venuta subito dopo le prime dichiarazioni di intenti del nuovo
Governo di Centro-destra.
Il proposito iniziale di
quest’ultimo sembrava ispirarsi al desiderio di cancellare il passato più che
alla volontà di disegnare un sistema formativo idoneo a servire una società più
moderna. E’ apparsa subito la voglia di trovare una cesura netta più che di
tentare una adeguamento, tutto sommato legittimo e comprensibile, a quelle che
si ritenevano le nuove prospettive di sviluppo. La riforma Berlinguer disegnava,
in modo sicuramente perfettibile, un modello di scuola che superava le
stratificazioni delle modifiche che si sono succedute da Gentile in poi. Veniva
superata la distinzione tra elementari e medie con la creazione della scuola di
base all’interno di Istituti comprensivi, che consentivano un passaggio alle
superiori con un meccanismo che avrebbe permesso di limitare una dispersione attualmente
devastante.
Tralascio i dettagli, ma una
volta insediatosi al Governo il Centro-destra la prima cosa che è stata
promessa è stata una riforma totalmente differente da quanto era stato
approvato poco prima dal Parlamento. Le proposte del Ministro Moratti si sono
succedute con grande rapidità con il proposito di partire con il nuovo
ordinamento entro l’anno 2002, proposito che si è rivelato in fretta una illusione
per i tempi tecnici del Parlamento e anche per i continui aggiustamenti miranti
a disturbare il meno possibile le varie categorie “danneggiate” dai nuovi
cambiamenti, e per non incorrere nei veti del Ministro Tremonti che ha teso sin
dall’inizio a limitare gli investimenti in un settore che aveva già
ragionevolmente imboccato una strada più promettente di quella percorsa nei
cinquanta anni precedenti, fatti da un rigonfiamento abnorme di personale (non
sempre qualificato), ma perennemente grato per il posto fisso. Occorre non
dimenticare però che uno dei primi provvedimenti del nuovo Ministero è stato
quello di assicurare il posto fisso a una dozzina di migliaia di docenti di Religione
Cattolica con una serie di tutele che neppure il personale di ruolo entrato
tramite concorso si sogna di avere. Inutile ripercorrere la storia degli Stati
Generali e del tentativo, non riuscito, di procurarsi una base professionale
favorevole ad un disegno ancora maldefinito nelle sue articolazioni, quanto
chiarissimo nelle finalità: mettere in discussione il valore legale del titolo
di studio, favorire in modo inequivocabile lo sviluppo di una scuola privata (mai
stata significativa nel nostro Paese (salvo pochi Istituti) se non come
scorciatoia per arrivare ad un diploma senza neppure le pur blande richieste
della scuola di Stato), tentare di salvare il sistema dei licei senza
contaminazioni con le scuole tecniche e professionali che venivano dirottate
verso un altro canale.
Le modificazioni in corso d’opera
sono state molteplici e, in alcuni casi, anche un po’ comiche: per consentire
di prendere il diploma a 18 anni si propose inizialmente di abbreviare di un
anno la scuola superiore (ma in questo modo si metteva in discussione la
sacralità del Liceo Classico e l’ipotesi fu scartata quasi subito), di togliere
un anno alla scuola di base non se ne poteva assolutamente parlare perché
l’aveva proposto Berlinguer e quindi è stato necessario ricorrere al taglio di
un po’ meno di un anno dall’unico settore di scuole riconosciuto anche
all’estero come all’avanguardia: la scuola per l’infanzia. Tralascio le battute
relative al confronto dell’onda anomala di Berlinguer con l’ondina della
Moratti, perché ormai la questione è talmente grave da non far neppure più
sorridere.
Una volta che si sono accorti
che, per moltissimi motivi, non sarebbe stato possibile partire come promesso
con la nuova riforma in settembre, sono cominciate le grandi manovre delle
sperimentazioni: è partito il Trentino con la Direzione scolastica
regionale che sperimenterà il nuovo
ordinamento, seguirà probabilmente la Lombardia, dubito che la Toscana si possa
accodare. Il risultato è curioso e descritto bene dalla rivista Tuttoscuola: Il
nostro è un paese strano. C’è una legge approvata che non applichiamo e
una legge non ancora approvata, che sperimentiamo. Se poi qualcuno dall’estero,
guardando agli ultimi anni di riforme scolastiche nel nostro Paese,
parla di schizofrenia all’italiana, non ce la prendiamo (N. 56,
17 giugno 2002). Tutta la vicenda inoltre cozza contro i nuovi articoli della
Costituzione che sanciscono l’autonomia scolastica.
Perché allora le Associazioni che
raccolgono i docenti di discipline scientifiche si sono decise a richiedere le
firme per un Appello?
Perché siamo convinti che
l’insegnamento scientifico subirà i massimi effetti negativi da questa vicenda!
Il ridimensionamento delle ore di insegnamento, che prevede una base comune
molto ristretta, sembra già ipotecato da una impostazione che lascia poco
spazio alle discipline scientifiche destinate ad una lettura troppo sbilanciata
sulle ricadute tecniche da affidarsi al filone professionale estremizzando
anche l’impostazione liceale gentiliana: al Liceo Classico le scienze sembrano
destinate ad essere ridotte all’osso.
Che la scienza sia difficile e
che il suo studio richieda rigore e impegno è fuori discussione, ma è anche
vero che nonostante gli sforzi di questi ultimi anni la scienza è rimasta fuori
dall’orizzonte culturale della maggioranza degli individui nella nascosta
speranza che fosse sufficiente l’utilizzazione delle applicazioni tecnologiche
per stare al passo coi tempi. Non è così in quanto la progressiva perdita di
una posizione competitiva sul piano internazionale a causa dei continui tagli
alla ricerca e la scarsa attenzione alla formazione di base dei nostri giovani,
taglia la possibilità per il nostro Paese di offrire un futuro solido anche sul
piano economico relegandoci nella fascia del commercio minuto delle scoperte e
delle applicazioni tecnologiche fatte da altri, magari dai nostri stessi
ricercatori costretti a lavorare all’estero.
Il processo di progressivo
allontanamento dagli studi di tipo scientifico è già iniziato da tempo: nel
prossimo autunno spero siano a disposizione i risultati di una ricerca,
promossa dall’Anisn, sulle iscrizioni alle facoltà scientifiche nel nostro
Paese comparate con l’andamento delle iscrizioni nei principali Paesi europei,
in Giappone e in alcuni Paesi ad economia emergente. Dalle prime impressioni
emerge che mentre negli altri Paesi europei si tenta con notevole sforzo di
mantenere delle posizioni già migliori delle nostre, in Italia la situazione sembra peggiorare senza alcun
tentativo di contrasto.
Ringrazio a nome dell’Anisn,
dell’Aif e della DD-Sci i relatori che hanno aderito a questo incontro rendendo
possibile la diffusione di una iniziativa altrimenti destinata a rimanere
all’interno del tam – tam via posta elettronica, mi auguro che questa possa
essere la prima di tante prese di posizione che vedano Scuola e Università
vicine per rafforzare l’intero percorso degli studi tentando di correggere le
scelte più sbagliate, prima fra tutte quella dell’indebolimento della
formazione scientifica.